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RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO PER INFORTUNIO DA COVID -19

Tale concetto è stato ampiamente discusso a seguito della circolare INAIL n.13/2020 e la nota del 17 marzo 2020, con i quali l’infezione da Coronavirus in “occasione di lavoro” viene inquadrata dall’Istituto  quale infortunio sul lavoro, sulla scia dell’orientamento giurisprudenziale in materia di malattie infettive e parassitarie per le quali la causa virulenta è equiparata alla causa violenta e in relazione alle disposizioni della Circolare 74/1995 (v. Linee guida per la trattazione di malattie infettive e parassitarie).

Invero, l’Istituto chiarisce che: la tutela assicurativa Inail, spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da nuovo coronavirus contratta in occasione di lavoroper tutti i lavoratori assicurati all’Inail.

“OCCASIONE DI LAVORO” in senso lato

E’ infatti noto che, secondo l’orientamento della Corte di  Cassazione, (sentenza n. 9913 del 13 maggio 2016) ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato, per “occasione di lavoro” devono intendersi tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio – economiche, in cui l’attività lavorativa si svolga e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, col solo limite, in quest’ultimo caso, del c.d. rischio elettivo, ossia derivante da una scelta volontaria del lavoratore diretta a soddisfare esigenze personali” (ex plurimis, Cass. n. 2942/2002; di recente, Cass. n. 12779/2012).

Secondo tale orientamento, dunque, l’evento verificatosi “in occasione di lavoro”  non è ascrivibile prettamente alla “causa di lavoro” ovvero ad ogni fatto ricollegabile al rischio specifico connesso all’attività lavorativa cui il soggetto è preposto, ma deve essere esaminato in relazione a tutte le circostanze di tempo e di luogo connesse all’attività lavorativa espletata, con l’unico limite della sua ricollegabilità a mere esigenze personali del tutto esulanti dall’ambiente e dalla prestazione di lavoro (c.d. rischio elettivo) (in questo senso cfr. Cass. n. 12652 del 1998, e, più di recente, Cass. n. 14287/2004; Cass. n. 16417/2005).

In ragione di tale orientamento giurisprudenziale consolidato, l’inquadramento indicato dall’Inail circa l’infezione da Coronovirus in “occasione di lavoro” ha suscitato non poche polemiche da parte delle aziende, considerata la complessa individuazione del momento specifico del contagio e di conseguenza dell’occasione di lavoro ex.art.2.T.U.. Tale complessità è configurabile non in relazione alle caratteristiche intrinseche del contagio o dell’attività virulenta dell’agente patogeno, bensì al contesto pandemico ed universale nel quale il contagio si colloca, considerato che lo stesso rende praticamente impossibile stabilire con certezza se la malattia sia stata contratta nell’ambiente lavorativo o sociale/ familiare.

Considerata pertanto la difficoltà di identificare la natura eziologica dell’evento, si è reso necessario un chiarimento da parte dell’Inail per l’individuazione del rischio professionale connesso al contagio del virus.

La circolare INAIL 20 maggio 2020, n. 22 precisa che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio da COVID-19 prescinde dalla sua riconducibilità a profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro; infatti la responsabilità è ipotizzabile solo in caso di violazione di legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali.

Tuttavia il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da COVID-19, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il cd. rischio zero; circostanza questa che porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario.

DUE TIPOLOGIE DI RISCHIO:

Per l’individuazione del rischio assicurato, l’Inail ha distinto due fondamentali categorie di lavoratori:

 

  1. nella prima si collocano i lavoratori esposti ad elevato rischio sanitario, quali, in primis, gli operatori sanitari e poi tutti i lavoratori che si trovino a contatto col pubblico /utenza (quali ad esempio i lavoratori di front office, cassieri, banconisti, addetti alle pulizie in strutture sanitarie ecc.ecc.);
  2. nella seconda categoria rientrano tutti gli altri lavoratori.

Per la prima categoria il rischio professionale viene, infatti, individuato mediante l’applicazione del principio di presunzione semplice di origine professionale, stante l’elevato rischio di contagio insito nella mansione espletata; mentre per la seconda categoria di lavoratori, allorché non sia possibile risalire all’episodio che ha determinato il contagio e non si possa presumere la correlazione tra attività prestata e contagio, vale invece il criterio scientifico medico-legale che privilegia i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.

In sintesi se si ammala un lavoratore della prima categoria si presume che il contagio sia avvenuto sul posto di lavoro e non servono altre prove. Se ad ammalarsi è invece un lavoratore della seconda categoria spetta all’ Inail accertare che l’infezione sia avvenuta proprio nel contesto lavorativo.

Con riferimento alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro, l’Inail precisa che può sussistere soltanto quando sia accertata la sua colpa nel verificarsi dell’infortunio. Pertanto occorre che la contrazione da parte del dipendente del COVID-19,non solo sia effettivamente avvenuta in occasione di lavoro, ma sia anche imputabile al datore lavoro.

Inoltre, “il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto (in favore dell’infortunato) non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, tanto meno sede civile nei confronti del datore di lavoro.” Solo nel caso in cui sia dimostrata una effettiva responsabilità del datore di lavoro, l’Inail ha titolo per pretendere il rimborso di quanto erogato al lavoratore infortunato.

RISCHIO ZERO

Infine, l’imprenditore non è, con riferimento all’infezione pandemica, tenuto ad assicurare “il rischio zero” e pertanto il difetto di diligenza del datore lavoro deve ritenersi senz’altro escluso qualora egli abbia concretamente adempiuto alle misure di prevenzione, protezione individuale, formazione ed informazione del personale, alla sorveglianza sanitaria speciale nei confronti dei lavoratori di età a rischio o con patologie sensibili, ecc. poste con i Protocolli condivisi in tema di sicurezza COVID-19.

L’esclusione del profilo penale è anche uno dei punti principali del Piano Colao per la ripartenza dell’economia italiana nella Fase 3.

Il tema, però, rimane, anche perché, come sottolineato da molti giuslavoristi, da una parte l’interpretazione dei protocolli di sicurezza non sempre è univoca e quindi lascia spazio a varie interpretazioni, dall’altra, se è vero che non c’è nessun automatismo tra l’accertamento dell’infortunio e la responsabilità penale del datore di lavoro, è anche vero che l’apertura di un procedimento penale rappresenta di per sé un danno per l’azienda, che rischia fino alla sospensione dell’attività, un’eventualità terribile in questa fase di precarietà del tessuto produttivo.

 

 

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